
Mafiopoli Racconta: Il caso Giuseppe Gulotta, Vittima di Stato – Un Innocente Stritolato dalla Giustizia
Introduzione:
Benvenuti a un’analisi tratta da Mafiopoli.com – Il Podcast. Oggi ci addentriamo in una delle pagine più oscure e inquietanti della giustizia italiana: il caso di Giuseppe Gulotta. Una storia che è un pugno nello stomaco, un monito perenne su come il sistema possa deragliare e stritolare vite innocenti. Un’odissea giudiziaria che ha dell’incredibile, fatta di dolore indicibile e di una verità soffocata per troppo tempo.
La Strage di Alcamo Marina: Un Contesto di Pressione
Siamo nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1976. Alcamo Marina, provincia di Trapani. Nella piccola caserma dei Carabinieri “Alkmar”, due giovani militari, Carmine Apuzzo di 19 anni e Salvatore Falcetta di 35, vengono trucidati a colpi d’arma da fuoco mentre dormono. Un’esecuzione. L’Italia è sconvolta; siamo negli anni di piombo, ma questa strage ha contorni anomali, misteriosi. La pressione per trovare i colpevoli è enorme, quasi insostenibile. Bisogna dare risposte, e in fretta.
L’Arresto e l’Incubo delle Torture
È in questo clima rovente che il destino di Giuseppe Gulotta, all’epoca un semplice muratore di appena diciotto anni, con una vita davanti e nessun legame con la criminalità, si incrocia tragicamente con la storia. Insieme ad altri giovani del posto – Giovanni Mandalà, Gaetano Santangelo e Giuseppe Vesco – Gulotta viene prelevato e portato in caserma. Non sa ancora che sta per sprofondare in un incubo che durerà decenni.
Quello che accade nei giorni successivi nelle stanze degli interrogatori è qualcosa che fa rabbrividire, qualcosa che non dovrebbe mai trovare spazio in uno Stato di diritto. Emergono delle confessioni. Ma come? Lo racconterà lo stesso Gulotta, e lo confermeranno poi altre testimonianze chiave: attraverso un sistematico e brutale pestaggio, attraverso torture fisiche e psicologiche disumane.
Gulotta parlerà di essere stato costretto a bere acqua e sale fino a stare male, di pugni, calci, colpi di moschetto. Racconterà di essere stato appeso per le braccia, minacciato di morte e di ritorsioni sulla sua famiglia. Descriverà la pratica della “cassetta”, una sorta di soffocamento simulato. Ore e ore di sevizie, finché la resistenza fisica e mentale non crolla, finché non si è disposti a firmare qualsiasi cosa pur di far cessare quel supplizio.
Giuseppe Vesco, uno degli arrestati, che inizialmente confessa e poi ritratta accusando i carabinieri delle torture, morirà in carcere poco dopo, il 2 febbraio 1976, ufficialmente suicida. Una morte che grida vendetta, un’ombra pesantissima che si allunga su tutta l’inchiesta.
Confessioni Estorte: La Base di un Errore Giudiziario
Le confessioni, estorte con la violenza e inquinate alla radice, diventano la colonna portante dell’accusa. Non ci sono altre prove concrete, non un’arma, non un movente chiaro che leghi questi ragazzi alla strage. Ma in quel clima, la parola scritta su quei verbali, macchiati di sangue e paura, sembra bastare.
Il processo è una formalità. Giuseppe Gulotta viene condannato all’ergastolo. Sentenza confermata in Appello e Cassazione. Ergastolo. Aveva diciotto anni.
Ventidue Anni Dietro le Sbarre da Innocente
Immaginate cosa significhi sentirsi chiudere alle spalle le porte del carcere sapendo di essere innocente, con la prospettiva di non uscirne mai più. Ventidue lunghissimi anni della sua vita trascorsi in prigione, da innocente. Ogni giorno una lotta per non impazzire, aggrappato alla flebile speranza che un giorno la verità potesse emergere. Anni in cui ha perso la gioventù, gli affetti, la possibilità di costruirsi una vita, portandosi addosso lo stigma infamante di “assassino di carabinieri”.
La Svolta: Una Testimonianza Coraggiosa
Mentre Gulotta sconta la sua pena, la macchina della giustizia, quella vera, inizia a muoversi, seppur con esasperante lentezza. Ci vogliono la tenacia dei suoi avvocati (tra cui Baldassare Lauria), il coraggio di alcuni giornalisti investigativi e, soprattutto, una testimonianza chiave: quella di Renato Olino.
All’epoca dei fatti, Olino era un brigadiere dei Carabinieri che partecipò agli interrogatori. A distanza di decenni, nel 2007, decide di parlare. Le sue parole sono dinamite. Davanti ai magistrati, Olino ammette tutto: le torture, i pestaggi, il clima di pressione per estorcere le confessioni. Le sue dichiarazioni confermano punto per punto quanto Gulotta e gli altri avevano sempre denunciato. Un atto di coraggio tardivo, ma fondamentale.
Grazie a queste nuove testimonianze e ad altri elementi emersi (comprese ombre su possibili depistaggi legati ad ambienti dei servizi segreti e alla struttura paramilitare Gladio), si apre finalmente la strada per la revisione del processo.
Libertà e un Risarcimento Amaro
Il 26 gennaio 2012, a quasi trentasei anni esatti da quella maledetta notte, la Corte d’Appello di Reggio Calabria pronuncia la sentenza definitiva: Giuseppe Gulotta è assolto per non aver commesso il fatto. Dopo 22 anni di carcere, è finalmente un uomo libero.
Lo Stato italiano lo ha poi risarcito con 6,5 milioni di euro. Una cifra che può sembrare enorme, ma che suona quasi come un insulto di fronte alla devastazione di un’esistenza. Può il denaro restituire la gioventù perduta, la dignità calpestata, la sofferenza indicibile patita da innocente?
Un Monito Perenne al Sistema Giudiziario
La storia di Giuseppe Gulotta è un monito terribile. Ci racconta di come la fretta di trovare un colpevole e la pressione mediatica e istituzionale possano trasformare gli strumenti della giustizia in armi di tortura. Mostra il volto più oscuro di un sistema che, in questo caso, ha protetto i veri colpevoli della strage – che rimangono ignoti – e i responsabili delle torture, sacrificando un innocente.
Questo caso ci costringe a interrogarci profondamente sulla responsabilità individuale e collettiva, sul valore delle garanzie processuali e sulla necessità di meccanismi di controllo efficaci. Quanti altri Gulotta, magari meno fortunati, hanno popolato o popolano le nostre carceri? Una domanda che dovrebbe toglierci il sonno. Un grazie ai nostri presunti “amministratori di giustizia, che non pagano mai”
Per Approfondire e Restare Informati:
Una storia davvero pesante, che fa riflettere e indignare. Per approfondire queste tematiche e altre storie di giustizia negata e processi controversi, visitate i blog di riferimento:
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Marco De Luca è un nuovo scrittore impegnato nella lotta contro le mafie, il crimine organizzato, le piccole criminalità, la violenza fisica e psicologica, il narcisismo e le truffe, perpetrate verso gli uomini. Nato nel 1973 in una tranquilla città del Piemonte e cresciuto a metà in Emilia Romagna ha fin da giovane sviluppato una forte consapevolezza politica e di giustizia. Dopo gli studi, Marco ha deciso di dedicarsi oltre che al proprio lavoro, ai suoi hobby (fotografia, tecnologia, scienza, lettura, al volontariato in vari corpi, ecc…) ma mai tralasciando il senso di Giustizia che lo ha pervaso fin da piccolo, grazie anche alla famiglia composta da Magistrati, Giudici, Avvocati e appartenenti alle Forze dell’Ordine. Nel 2018 dopo aver subito violenze, truffe, minacce, ecc… da famiglie criminali di bassa lega, e constatando la criminalità, la mafia, l’ignoranza che gira nelle procure e nelle aule di “presunta giustizia” si dà alle denunce pubbliche su giornali e emittenti televisive ed alla fine alla scrittura per denunciare l’illegalità, la violenza delle organizzazioni criminali, e il loro insediamento nelle procure e tribunali, di loro associati. Da quel momento in poi, Marco ha continuato a scrivere e denunciare pubblicamente a livello nazionale denunce ed articoli sulle mafie, il crimine organizzato, la criminalità e la truffa, raccontando non solo la propria storia, ma anche quelle di cui è venuto a conoscenza in tutta Italia, similari, di persone che hanno chiesto il suo parere.
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